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TERRA CIOCIARA: STORIA - URBANISTICA - FOLKLORE - AMBIENTE


I DUE PAPI DI FROSINONE

"VICENDE, RACCONTI E CURIOSITA' LEGATE ALLE FIGURE DEI PATRONI"

Ormisda e Silverio

Spulciando gli atti del convegno su Papa Ormisda, promosso nel 1993 dalla Circoscrizione I del Comune di Frosinone, emerge che sono molto scarse le notizie riguardanti la vita di Ormisda, prima della sua elezione a Papa. L'unica fonte certa: il Liber Pontificalis, un testo risalente agli anni del suo pontificato. Non si hanno notizie certe della consorte, dalla quale nacque Silverio Papa.

Non si esclude che sia stato diacono sposato e che al momento della sua elezione a pontefice fosse vedovo. Di Felice III (483 - 92) ricorda che era "ex patre Felice presbytero, de titulo Fasciolae". Un presbitero che era sposato e che espletava la sua missione pastorale in Roma.

Non certo è anche il periodo in cui abbracciò lo stato ecclesistico e i motivi e le convinzioni che lo portarono ad una decisione così radicale.

Anche Celestino I, Felice III, Simmaco, Gelasio, furono diaconi e arcidiaconi. Con tutta probabilità fu eletto e consacrato diacono da papa Simmaco. Seppe entrare nelle simpatie del clero romano e della stessa corte di Teodorico.

Fu eletto e consacrato, subito dopo la morte di Simmaco, il giorno dopo, di domenica, il 20 luglio 514.

Una elezione così rapida si spiega solo con la grande considerazione in cui era tenuto fra le fazioni presenti a Roma in quegli anni. Considerata l'influena di Teodorico, in tutte le questioni "di stato" se ne deduce che non dovette opporsi a tale nomina.

E l'elezione di Ormisda fu anche un aiuto "politico" per Teodorico. La politica di pace, promossa dal nuovo pontefice agevolò non poco il contesto storico, stemperando le tensioni anche all'interno della Chiesa stessa.
Il suo carattere comprensivo, prudente, ponderato nelle decisioni aumentarono la stima per lui. Ma non può passare in secondo odine la sua determinazione nella difesa della purezza della fede oltre che della dignitas Romanae Ecclesiae, sulle orme di Leone I, Felice III e Gelasio I.

Il pontificato di Ormisda ha toccato una delle maggiori vette, per la composizione dello scisma d'Oriente: una questione iniziata ai tempi di Felice III e conclusasi con la cosiddetta "pace di Ormisda" il 31 marzo 519.

La morte arrivò per lui il 6 agosto 523 - un breve pontificato; durato nove anni e pochi giorni. Nato a Frosinone è sepolto sotto la basilica di s. Pietro.

Ovviamente, le statue dei Santi Patroni vengono conservate nella Cattedrale di Santa Maria, ma da una breve consultazione del percorso storico iconografico dei santi patroni, pubblicato da Francesco Antonucci del 2002, emergono interessanti considerazioni: Il 1° novembre dell’anno 1914 morì a Frosinone l’illustre ingegnere Alessandro Kambo.
Nel lascito testamentario, curato del notaio Giuseppe cav. Bracaglia, il Kambo esprimeva la volontà di donare una statua in onore di Sant’Ormisda.

Nel lascito testamentario è così detto: «Il santo sarà rappresentato in piedi, nel vestiario del tempo, e l’artefice deve tenere presente l’effige del S.to che esisteva a S. Paolo in Roma prima dell’incendio e il vestiario di S. Gregorio al pilastro degli orfanelli a Santa Maria in Equino in Roma del Mariani nella effige l’artefice deve ispirarsi alla volontà, alla scienza, alla paternità, alla dolcezza che traspare dalle lettere del Santo».

«Il Santo in piedi col pastorale deve benedire il suo popolo stando nel suo trono presso a poco come l’attuale, ma nel carattere del tempo. Questa statua deve essere custodita in Santa Maria, ma la lascio in dono al Comune di Frosinone con l’obbligo, che ne sorvegli l’esistenza e buona manutenzione, l’esponga al pubblico nelle novene e solennità del santo, ed in occasione di allontanare pubblici gesti e di ottenere favori, essendo io amatissimo, che il Comune conservi a sé la proprietà delle statue dei nostri Santi Protettori e ne curi le loro feste, essendo queste le nostre vere glorie».

«Voglio, che ogni anno si celebri nella solennità, che ormai si conosce, la festa dell’Immacolata affidandone l’esecuzione al parroco Protempore di Santa Maria, le spese relative dovranno essere pagate sulle rendite che lascio libere».

La statua venne realizzata in argento ad opera di Enrico Quattrini da Todi, modellata nel 1930 nella fonderia romana. Essa rappresenta la solenne persona del Papa Ormisda con la tiara sul capo che, con la fierezza di noi frusinati, alza la croce, incastonata di pietre preziose, con la mano destra impartendo allo stesso tempo la benedizione della Chiesa, riunita in una sola casa. Mentre con l’altra mano regge, con sicurezza, il libro dei patriarchi, fondatori della Cristianità, anch’esso arricchito di pietre preziose.

Purtroppo, la notte del 26 novembre 1987 la massiccia statua di Sant’Ormisda, con il suo prezioso carico, fu sottratta dalla Cattedrale in un furto sacrilego.

Al ché, ancora una volta, il Consiglio dell’Opera Pia Kambo intervenne ordinando un’altra statua al Centro Domusdei Sud s.r.l. di Roma, nel maggio 1988.

La nuova statua, che è tornata nel luogo a lei destinato, fu realizzata dal prof. Elio Turriziani.

Nel 1956 fu realizzata anche la statua dedicata a San Silverio, dopo lo smembramento dell’antico baldacchino, dallo scultore Carlo Quattrini, figlio di Enrico, nella fonderia di Roma. Essa rappresenta, nella profonda sconsolazione ed umiliazione, colui che subì l’esilio, San Silverio, con il capo scoperto e la tiara appoggiata a terra, accanto alla palma del supplizio, recante nella mano sinistra, penzoloni, il libro seminascosto per non essere riuscito del tutto a completare la sua opera pontificale. L'altra mano, stringente sul petto la croce cristiana, mostra con drammaticità la lunga catena della tortura dell'esilio sull'isola di Palmarola.

Dal racconto dei nostri nonni emerge che prima dell'unificazione dei festeggiamenti, a Frosinone si celebravano due gioni di festa: il 20 giugno si festeggiava S. Silverio ed il 6 agosto S. Ormisda: dopo la festa della Madonna della Neve.
Il popolo accorreva, le strade erano gremite di folla e i giovanotti indossavano i paramenti della confraternita: un saio e una mantellina. Le autorità cittadine in festa e gli ottoni tirati a lucido accompagnavano le processioni.

Il percorso della processione era stato codificato: Via del Plebiscito, P.zza della Libertà, la "Via Nova" - (Corso della Repubblica), si risaliva per Porta Campagioni e si tornava in Cattedrale. Dopo la guerra, grande attesa per la tombola: funzionari del comune, con un banchetto venivano posizionati nei punti strategici per compilare le "cartelle". Ognuno aveva i suio numeri fortunati e tutti erano pronti a giurare sulle loro convinzioni, ovviamente.
Il tempo dell'attesa, per l'estrazione, veniva ingannato mangiando "i lupini". Noccioline, carrubbe, ciambelle pane e birra saziavano l'appetito.
In piazza VI dicembre veniva allestito "il palco" per l'estrazione dei numeri: un formicaio di persone affollava la piazza sottostante e tutte le strade balconate su di essa. Quando veniva gridata la -"TOMBOLA"- un tripubio di folla si levava al cielo: poche gioie e molta delusione. Seguivano i "cantanti" e lo spettacolo pirotecnico.

Storie curiose, appartenenti al folklore locale, si raccontano intorno alle figure dei santi patroni. Alcune sono patrimonio di ogni frusinate, almeno dei più vecchi. Ne raccontiano una, quella descritta da Gianmarco SPAZIANI sul giornale satirico "Uiente Aculone 2002", uno dei pochi giornali satirici sopravvissuti, fondato dal Cavalier Antonio Peruzza che, di norma, viene pubblicato in occasione del carnevale. Il "fatto" è stato riportato da Francesco ANTONUCCI nel "percorso storico iconografico dei santi patroni", pubblicato nel 2002.

"Durante un terribile periodo di siccità i cittadini di Frosinone erano disperati. La pioggia tardava ad arrivare, le fontane erano secche, i campi esauriti, e la fame e la sete cominciarino ad imperversare. Ad un certo momento la popolazione sentendosi persa come ultima speranza iniziò ad esortare il Santo patrono perchè facesse il miracolo "S.Suluè fa chiou! Ca aesse ce muràme tutte!! Fa chiou, facce la grazzia!!".
Si vuole che in questa circostanza nacque il modo di dire: "S.Suluè, fa chiou pe' gli'uttre ca gli grosse tènne sete"!
Probabilmente in questa stessa occasione si diffuse anche il modo di imprecare "S.Suluerie alla sedia" poichè la vecchia statua del Santo lo vedeva seduto su una specie di trono.
Tuttavia anche gli appelli al Santo non sortirono effetto alcuno per cui i cittadini ormai disperati si recarono nella cattedrale di Santa Maria e dopo aver caricato il baldacchino con la statua del santo, lo portarono in località porta napoletana (attuale porta Campagiorni) e sul ciglio della terrazza dei Piloni, (gli Pelùne) minacciarono un ultimatum al santo:"S.Suluè o faie chou o t'ittàme attèra aglie pèlune!!! Siè capìte!???"
A questo punto non si sa bene se effettivamente l'insano gesto sia stato consumato o meno, certo è che il povero"San Suluerie pe' accome glie seme redotte me sa tante che ancora 'sta a scuntà le jasteme che c'ènne ittàte chella uòta!!!!"

Le curiosità riportate dalla Commissione Culturale della Parrocchia Madonna della Neve, arricchiscono il contesto storico e aiutano a capire meglio le figure dei santi patroni. Ma il vero proposito, nel riportare questi frammenti della letteratura frusinate, è quello di stimolare la curiosità dei lettori, spronandoli alla consultazione dei testi originali dai quali sono state estrapolate le singole informazioni, nella convinzione che la lettura completa dei trattati possa contribuire ad accrescere la fede nei confronti dei due santi e, più in generale, ad una maggiore divulgazione delle loro virtù.

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