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TERRA CIOCIARA: STORIA - URBANISTICA - FOLKLORE - AMBIENTE


NEL SECOLO DEI COMUNI

"FUORI DALLE LOTTE COMUNALI"

"TRA TERRA E FUOCO"

"ESPANSIONI TERRITORIALI"

"PRESENZA BENEDETTINA E CISTERCENSE"

"FUORI DALLE LOTTE COMUNALI"

Gli studiosi di critica storica sono alla ricerca dell’origine dei comuni nel secolo XI. Una delle più accreditate tesi è quella che la riallaccia alla rinascita dei valori romani consérvati nell’alto medioevo.

«I sostenitori delle origini romane si basano sulla rinascita delle città, organismi tipicamente latini, che nel medioevo, nonostante il caos barbarico, seppero conservare quello spirito associativo e autonomistico, che nel secolo XI fu l’essenza dei comuni».

Il lettore, …”omissis”, saprà apprezzare l’amministrazione alto - medioevale di Frosinone e saprà comprendere il perché esso resta fuori della mischia anche nel sec. XII.
Frosinone non aveva bisogno di combattere per la conquista delle libertà civiche, perché esso le godeva già, in forza della sua costituzione consortile. L’alto dominio del Pontefice veniva esercitato solo per garantire i diritti della Chiesa romana.

Il Gregorovius, parlando di Innocenzo III, che portò al vertice il potere pontificio, scrive: «Sarebbe errore se si credesse che il Papa d’allora in poi esercitasse in Roma (e altrove) un’autorità diretta e regia... i Papi non decretarono mai cosa alcuna che fosse contro il volere e la potestà del popolo».

L’autorità storica di questo scrittore basterebbe per far comprendere quale fosse la verità e la realtà del dominio pontificio nel medioevo.

Però ci piace riportarne un’altra del prof. Armando Rodolini, direttore dell’archivio di Stato di Roma: «Il reale decentramento del sistema di governo pontificio, specialmente nei secoli più antichi, ha favorito una grandissima fioritura di statuti municipali, sui quali esiste un’abbondante letteratura e singole pubblicazioni di enti, comunità, scrittori».

I frusinati dunque non si rammarichino se il nome di Frosinone non compare nelle epiche lotte del sec. XII, né tra le città guelfe né tra le città ghibelline. Non aveva alcun motivo di far guerra, perché a Frosinone si godevano già le libertà comunali che allora si cercavano.

"TRA TERRA E FUOCO"

Frosinone ha dovuto subire in ogni epoca la pressione dell’Italia meridionale. Quando si affacciava alla storia, protagonista di questa pressione era la Magna Grecia, specie la città di Cuma.
Dopo il crollo dell’impero romano d’Occidente si alternarono Goti, Bizantini e Longobardi, che premevano dal ducato di Benevento.

Nel periodo in cui siamo giunti con la storia, i Normanni avevano, da poco meno di un secolo (1059), fondato il giovane e vigoroso Ducato di Calabria e Puglia, che marciava a grandi giornate per diventare regno.
Il papato, temendo che questa nuova forza rompesse l’equilibrio in Italia e turbasse i suoi domini, aveva cercato e continuava ancora a sbarrare il passo.
Tutto però nel tempo deve percorrere la propria parabola ascendente. Il Ducato di Calabria e Puglia si trovava decisamente nella fase ascensionale e quindi cercava di rompere ogni artificioso steccato. La regione che ne pagò le spese fu la Ciociaria e quindi anche il nostro Frosinone.

La Cronaca di Ceccano ci dice che nel giugno del 1108 Roberto il Guiscardo invase la Campagna, da Ceprano a Segni, e impose un tributo. Quindi anche Frosinone dovette subire la capricciosa imposizione del tributo. Naturalmente questo non rappresentava un regalo per le contrade della Campagna e quindi ci fu chi si ribellò. Ecco allora che torna il sopraffattore e «il 2 agosto 1113 fu incendiato Ceprano e la Rocca dl Ceccano in S. Maria».

Il programma normanno doveva realizzarsi pienamente. All’inizio del 1130 veniva eletto, contro Papa Innocenzo II, l’antipapa Anacleto II. Questi favoriva i Normanni, quindi concesse il titolo di Re a Ruggero II, figlio di Ruggero I e successore di Roberto.

Il nuovo re fu consacrato nello stesso anno a Palermo dall’arcivescovo di quella città. Il Papa però non aveva riconosciuto il nuovo re.
In questo stato di tensione nel 1139 ebbe luogo uno scontro tra i due sovrani ai piedi di Montecassino, finito col trattato di pace del 25 luglio 1139, col quale il Papa riconobbe il titolo di Re a Ruggero II.
Però la pace aveva i piedi d’argilla e quindi non passò molto che fu spezzata. Ciò avvenne nel 1155.

All’inizio della quaresima di quell’anno il re di Sicilia Guglielmo I il Malo (7 maggio 1166), successore di Ruggero II, si era portato a Salerno. Giunta a Roma questa notizia, il Papa Adriano IV gli inviò il cardinale Arrigo per la trattazione di alcuni affari.

Il Papa, che era inglese, nelle lettere credenziali date al cardinale, invece di dargli il titolo di re, gli dette quello di « Signore di Sicilia ». Guglielmo di fronte a questa mancanza di riguardo, s’indignò, non volle ascoltare l’inviato pontificio e lo rimandò a Roma. Non basta. Dopo la Pasqua dette ordine al cancelliere del Regno Ascletino d’invadere lo stato del Papa e se ne tornò in Sicilia.

Ascletino obbedì al suo sovrano e nel mese di maggio invase la Ciociaria, incendiò Ceprano, Babbuco ed i paesi vicini. L’incendio di Boville (Babbuco) ebbe luogo l’11 giugno.

Poi venne a Frosinone e si recò ad incendiare il castello di Tecchiena. Non finì qui la vendetta. Nel ritorno «fece smantellare le mura di Aquino, dì Pontecorvo e delle altre terre, e cacciò via tutti i monaci (di Montecassino) ad eccezione di dodici».

Questo è il racconto della spedizione punitiva come si ricava dalle tre cronache concordate di Ceccano, Montecassino e Salerno.

Il Martinori, riferendo questo episodio, in ordine alla nostra città scrive: « Entrato (Ascletino) nella Campagna, si diede ad incendiare quanti castelli vi si paravano innanzi, e tra questi anche Frosinone ». Egli appoggia le sue parole su quelle del Tosti: «poi in queste parti si volse ed entrando la Campagna romana, miseramente abbruciò Ceprano, Bauco, Frosinone, Arce».

Tuttavia nelle tre cronache citate ciò non è affermato esplicitamente e, a leggerle bene, neppure implicitamente.

Ivi non è neanche detto che Frosinone abbia avuto smantellate le mura; però forse è incluso nell’espressione generica «degli altri paesi».
Si è spinti a credere che sia avvenuto così sia quando si pensa che, dopo questo ciclone, in Frosinone le mura vengono nominate come se fossero ruderi o quasi e sia perché i frusinati nel 1164 si vendicano dei seguaci del re Guglielmo.

Continuando a sfogliare la citata Cronaca di Ceccano vi leggiamo che «nel 1160 viene da queste parti Papa Alessandro III e recupera le terre della Chiesa. Però le nostre contrade nel 1161 si videro percorse dalle milizie imperiali, per lungo e per largo, subendone orribili devastazioni».

Frosinone dunque era tra un flusso e riflusso di eserciti. Non deve quindi far meraviglia se nel 1164 non ne poté più e, insieme agli alatrini, i frusinati incendiarono la chiesa di S. Maria della Carità e vi fecero morire ustionati gli accoliti del re di Sicilia.

I fatti soprariportati non debbono far dimenticare che il secolo di cui parliamo è quello delle lotte comunali sotto la guida del Papa, contro le pretese esasperanti dell’imperatore Barbarossa.

Non è qui il caso di tentare neppure una sintesi ma, per quel che riguarda Frosinone, ricorderemo qualche atto del suo figlio Enrico VI, trasmessoci dagli Annali di Ceccano.
Anno 1186: «In quest’anno il re Enrico, figlio dell’imperatore Federico, si sottomise tutta la Campania», cioè « volle vendicarsi contro il Papa, iniziando nei di lui stati delle scorrerie sterminatrici e facendo infame scempio di beni e di persone, che persino sfregiava col troncar loro le narici.

Nessuna città del Lazio fu risparmiata: tutte dovettero subire stermini, saccheggi, incendi e devastazioni di ogni sorta ». Altro passaggio luttuoso lo compì nel 1191 (Cron. Cass.).
Anno 1194. Agosto: «L’imperatore Enrico VI impose a tutta la Campagna il fodro e, data pace e sicurezza alla regione, fece spogliare e depredare Bauco».

Quanto sia stato pesante il fodro, Frosinone non ce l’ha tramandato; però lo sappiamo dalla vicina Alatri, che, per soddisfare all’esosa richiesta, dovette vendere alla Chiesa alatrina i Prati di Chiappitto.

In tutti questi frangenti non diminuì, ma si accrebbe la devozione dei ciociari per il Papa. Essi vengono chiamati «i vostri fedeli della Campagna» nella composizione del 31 maggio 1188 tra Clemente III e il Senato romano».

"ESPANSIONI TERRITORIALI"

I frusinati nel sec. XII hanno effettuato tre sconfinamenti in territorio altrui. Però non li compirono a mano armata, ma con la zappa. Il suo territorio è molto meno che la metà di quello di Veroli e, benché di poco, anche meno della metà di quello di Alatri.

La popolazione di Frosinone era in massima parte agricola. Trovavasi anche una percentuale di pastori. Ce ne fa fede il nome di Fraginale, dato a una zona dell’agro frusinate: Fraginale nel medioevo significava luogo destinato a pascolo.

Con territorio così ristretto non deve far meraviglia se i contadini frusinati, prima con i debiti permessi, e poi con una specie di prescrizione, abbiano tentato di spostare i confini territoriali del proprio paese.

Gli episodi sono i seguenti: 1) Terre di Veroli. L’informazione non ci è pervenuta in una descrizione diretta del fatto, ma nel quadro delineato in un documento successivo. Il 2 giugno 1147 i consoli di Veroli Ottaviano di Ottaviano, Adinolfo di Francesco e Bernardo di Alberigo donano alla chiesa di S. Erasmo della stessa città le terre che avevano precedentemente ricuperato dai frusinati.
In questa donazione sono contenute diverse notizie che interessano la nostra storia. Vi si dice tra l’altro: «…queste terre sono state restituite al popolo verolano dai signori e dal popolo di Frosinone, allorché fu conclusa la pace tra le due parti. Infatti prima ci fu una lunga lite tra il popolo verolano e quello frusinate. Questi ultimi le restituirono perché le avevano tolte ai verolani, insieme a molte altre terre».

Da questo primo brano emerge che la restituzione non viene effettuata dai signori di Frosinone soltanto, ma da loro e dal popolo, come se si dicesse «senatus populusque». Da ciò si può ricavare una conferma di quanto abbiamo esposto e affermato sopra, che cioè Frosinone fu un comune ante-litteram e possedeva un consiglio, che viene chiamato parlamento.

Nell’altra parte del documento viene descritta l’ubicazione di dette terre e vengono nominati individui che ci portano alla conoscenza di altre notizie. Le terre di cui si parla si trovano nella contrada detta Bagno, confinano per 72 pertiche con la via pubblica, per 193 pertiche e otto piedi col rivo Bagno, poi c’era una cisterna e una castagneto degli eredi Perti; dall’altra parte c’è il territorio di Scrima, terra che guarda Frosinone, confinante per 47 pertiche col terreno di Tebaldo, on quello della Chiesa di S. Maria, di Crescente o Crescenzio e degli eredi Guerramo, che va fino al rivo Cobatti; poi seguono le terre di Giovani di Ottaviano e di Giglio di Donna Amelgarda, cavaliere di Frosinone, «militis de Frusinone».

Il lettore vede da sé quante belle informazioni vi si trovano. Vi è nominata la chiesa di S. Maria; Tebaldo, nome che si incontra nella donazione del 5 settembre 1207; Guerramo, il Gastaldo che già conosciamo e, finalmente Giglio a cui risale forse la denominazione della contrada omonima. Se ciò fosse vero, bisognerebbe ascrivere a un cavaliere di Frosinone il nome a quella porzione dell’agro verolano. L’episodio però noi l’abbiamo riportato per sottolineare la laboriosità dei frusinati, i quali, è vero che hanno sconfinato, ma hanno anche fecondato quelle terre col loro sudore.

2) Campo Floro di Latri. L’analogo sconfinamento nel territorio di Alatri ebbe luogo poco dopo quello di cui abbiamo parlato. La Chiesa romana col benevolo favore degli Alatrini, aveva concesso ai signori di Frosinone l’uso di alcune terre poste nel territorio di Alatri. La concessione era stata fatta a condizione che non venissero alterati i confini comunali, che lo stesso Papa aveva poco prima definito. I fondi concessi si trovavano a Campo Floro. Dopo qualche tempo i signori di Frosinone Egidio, Pagano e Roffredo sovvertirono i confini territoriali. Da qui ne nacque una controversia che fu definitivamente chiusa il 7 agosto 1174.

In detto giorno «in esecuzione della sentenza pronunziata da Papa Alessandro III nella lite fra gli alatrini e frosinonesi per la tenuta di Campo Floro, due curiali, il maestro Rogerio, suddiacono di S.R. Chiesa, e Viscardo consegnano ai consoli alatrini la tenuta di Campo Floro, dinanzi all’autorità, al popolo e alla presenza di 21 testimoni ufficiali.

3) Campo Cerreto di Alatri. La terza contestazione di confini, seconda con gli alatrini, i frusinati la conclusero nel 1212. Essa appartiene ai primi anni del secolo seguente, ma la ricordiamo a questo punto per la identità della materia.

La vertenza, come dicono gli atti, incominciò all’inizio del ‘200, però si concluse il 7 ottobre 1212. In questa seconda lite era contestato il Campo Cerreto. L’accordo fu raggiunto per l’intervento autorevole di Papa Innocenzo III. La pace fu trattata e sottoscritta, per i frusinati, dal signor Oggerio e da diversi rappresentanti per parte degli alatrini. Frosinone rinunziò ai suoi diritti sul Campo Cerreto, dietro la corrisposta di 400 libbra di provisini da parte di Alatri.

Dalle vertenze con gli alatrini emerge che gli sconfinamenti in oggetto i frusinati li effettuarono per desiderio di accrescere le terre da loro coltivate. Per questa ragione abbiamo pensato che fosse altrettanto per i fondi del territorio verolano. Comunque, gli episodi ci fanno vedere che nel secolo XII Frosinone era in forte espansione agricola. Notiamo poi che dagli atti suddetti si vengono a conoscere diversi nominativi di Signori frusinati e quindi possiamo anche spingere lo sguardo dentro l’amministrazione comunale di quell’epoca e scorgervi, quali principali esponenti, Tebaldo, Guerramo, Giglio, Oggerio.

Concludiamo infine rilevando che anche in questo secolo delle libertà comunali, di Barbarossa e di Legnano, in Frosinone non si sentono echi di tali tempeste. La sua amministrazione non aveva nulla di tirannico: vi era armonia tra amministratori e amministrati.

"PRESENZA BENEDETTINA E CISTERCENSE"

A) I Benedettini. Non possiamo stabilire con certezza l’epoca in cui i monaci benedettini sì stanziarono a Frosinone. Abbiamo già ricordato che il 2 gennaio 1154 il clero e i condomini di Frosinone, «milites», donarono la chiesa di S. Giuliano ai monaci di Montecassino. Il Papa Anastasio IV aveva già approvato questa donazione fin dal 31 ottobre 1153 scrivendo a Rainaldo cardinale prete e abate cassinense e ai suoi confratelli.

Di questa chiesa nella visita pastorale del 1581 è detto che si trovava fuori le mura, che era stata parrocchiale, ma, essendo diruta, si ordinava che fosse costruita una cappella omonima nella chiesa più vicina. Si trovava nella zona dell’attuale stazione ferroviaria. Là vicino esiste ancora la via S. Giuliano, mentre in una mappa dell’ ‘800 si incontra anche Vado S. Giuliano.

La presenza benedettina a Frosinone è anteriore a questa data. Ce ne fanno fede, in primo luogo, la chiesa di S. Benedetto e poi quella di S. Nicola, S. Martino e S. Lucia, che negli antichi documenti sono dette chiese abbazziali o priorali.

Di esse parleremo in seguito. Qui notiamo soltanto che la chiesa abbazziale di S. Benedetto nel 1250 divenne parrocchia e quindi il clero regolare fu soppiantato da quello secolare. Non sappiamo però l’epoca della fondazione della primitiva chiesa.

Essa non! si trova nominata in nessun documento dei monasteri di Montecassino, di Subiaco o di Farfa, che avevano fondi in ogni parte d’Italia. Ciò fa pensare che sia stata fondata in un’epoca molto antica, anteriore a quella in cui iniziano i regesti attuali dei suddetti monasteri.

Siamo quindi indotti a supporre che ciò sia avvenuto dopo il ritorno dei benedettini a Montecassino, nel clima della rinascita carolingia proseguita dal figlio Ludovico il Pio. I Benedettini costruirono a Frosinone le sopraddette chiese e vi raccolsero il popolo in corporazioni e confraternite. B) I Cistercensi. I cistercensi sono entrati a Frosinone nello stesso anno in cui furono introdotti a Casamari, ossia nel 1140. Infatti, prendendo possesso di questa abbazia benedettina divennero anche proprietari di beni che ad essa erano stati donati precedentemente. Il 28 settembre 1075 il vescovo di Veroli, Onesto, aveva donato a detta abbazia la chiesa di S. Giovanni Battista e «la quarta parte delle decime che sarebbero entrate in tutte le altre chiese di Frosinone».

Questa donazione fu poi confermata il 9 maggio 1170 da Alessandro III all’abate Gregorio con la bolla «Pie posttilatio voluntatis». In questa bolla la chiesa viene detta di S. Giovanni Battista e S. Silvestro.

In certe versioni sembra che si tratti di due chiese distinte. A proposito di questa bolla del 9 maggio 1170 dobbiamo rilevare che il Mastrantoni dice di essere andato a leggere la pergamena originale che si conserva a Casamari ed ha trovato che la nominata chiesa di S. Giovanni e S. Silvestro sita presso l’anfiteatro, non si riferisce a Frosinone, ma a Bauco (Boville): «...appare subito evidente che l’espressione “amphiteatro quod vulgo appretiatum dicitur” non si riferisca affatto al monumento di Frosinone, in quanto la frase è marcatamente separata con un punto dal periodo seguente ». Pertanto, conclude il detto studioso, «è da riferirsi (“appretiatum “) ad un monumento anticamente ubicato nel territorio dell’odierna Boville Ernica».

Al momento in cui scriviamo la pergamena consultata dal Mastrantoni è al restauro a Pavia. Ciò vuol dire che essa non si leggeva bene o, per lo meno, il punto di cui si parla non appartiene al tempo in cui fu scritta la pergamena. Molti altri documenti, infatti, ci dicono che bisogna leggere «chiesa di S. Giovanni Battista e S. Silvestro con l’anfiteatro in Frosinone».

Il primo documento è quello anteriore, già citato, del 28 settembre 1075. Il secondo lo troviamo nel regesto di Nicola IV. Questo Papa, scrivendo da Orvieto il 13 dicembre 1290 per confermare all’abbazia dl Casamari le proprietà, dice: «In Frosinone la Chiesa di S. Giovanni e di S. Silvestro con l’anfiteatro».

Vi sono poi altri documenti anteriori a questa donazione conferma del 1170. Si tratta di ben sette conferme papali dove si parla sempre di una chiesa di S. Giovanni presso il fiume Cosa. Il primo è di Urbano II del 2 luglio 1095 e l’ultimo, che precede di sedici anni la bolla, di cui si disputa, è di Anastasio IV del 9 marzo 1154.

Nel primo è detto: «la chiesa di S. Giovanni, nel territorio di Frosinone, la quale è situata vicino al fiume Cosa, con tutte le sue pertinenze». La formula si ripete negli altri documenti successivi. In quello emesso il 15 giugno 1122 da Callisto II c’è una notizia in più: «con l’intero casale».

Nella visita pastorale del 1581 ci si fa sapere che detta chiesa era sita fuori le mura della città, era stata distrutta nella guerra del 1556 e aveva un reddito di sc, 30 annui, che venivano percepiti dall’abate di Casamari.

Presso l’archivio di detto monastero si conservano ricevute di pagamenti fatti da Frusinati per i fondi che appartenevano alla chiesa di S. Giovanni. Eccone uno: Giuseppe Tornei rilascia quietanza a Francesco Antonio Pesci per il pagamento di sc. 7 e oboli 42½ «quali sono per il gabellone degli anni 1739, 1740 e 1741… come affittuario ai beni di S. Giovanni a Casarnari».

Le proprietà dei monaci di Casamari a Frosinone non erano costituite soltanto dalla chiesa di S. Giovanni e fondi di sua dotazione, ma da altre case e altri terreni.

Essi furono venduti a Francesco Renna il 4 maggio 1854 con atto notarile presso Francesco Polini Flavi, per sc. 5.100, compresi alcuni fondi che entravano nel territorio di Ferentino. In quest’atto di alienazione i beni di Casamari a Frosinone sono costituiti da undici case o casette e da 27 terreni disseminati un po’ dovunque.

In quanto alla chiesa di S Silvestro di cui si parla in certi documenti non abbiamo notizie.
Probabilmente si tratta dell’abbinamento del culto di questo santo a quello di S. Giovanni. Per le relazioni farmaceutiche- sanitarie di Casamari con Frosinone si può consultare il recente volume di Placido Caputo e Domenico Torre.

Padre Ignazio BARBAGALLO Agostiniano Scalzo

(FROSINONE - Lineamenti storici dalle origini ai nostri giorni)
- "Editrice Frusinate 1975"

Per le citazioni storiche, la bibliografia ed altro, si rimanda ad una consultazione diretta dell'opera.

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