Script per monitoraggio pagine menu ciociaria

IL SANTUARIO, FRA ARTE, FEDEHE E LINEAMENTI STORICI


LO SVILUPPO FRUSINATE DEL
SECOLO XVIII

La storia della ricostruzione ed incremento della chiesa di S. Maria non è che un segno, sebbene preminente, dello sviluppo avuto da Frosinone nel ‘700. Per convincersene basterebbe guardare l’incremento demografico.

Nel 1701 Frosinone aveva 3.000 abitanti, nel 1782 ne faceva 6.670, ossia più del doppio, mentre prima dell’invasione francese aveva toccato i 7.000, per scendere poi alla fine dell’impero napoleonico a 6.014 (anno 1816).

Però oltre a questo sviluppo demografico bisogna guardare a quello urbanistico e, diciamolo pure, artistico. Diamone uno sguardo sintetico.

Chiesa di S. Benedetto

Anche questa chiesa, come quella di S. Maria, viene quasi ricostruita del tutto, fino a prendere forma settecentesca. I lavori iniziairono nel 1750 sotto l’arciprete Don Bernardino Di Dini e furono terminati nel 1797, un anno prima che fosse profanata e quindi saccheggiata dai francesi.

Con i lavori murari e architettonici si accompagnarono quelli decorativi. Infatti vi furono dipinti e collocati i quadri della Madonna col Bambino, di S. Bartolomeo, della Vergine del Rosario; della Madonna con S. Benedetto, della Presentazione di Gesù ai Magi e vi fu installato il coro in legno.

Chiesa di S. Maria

A quanto abbiamo detto circa i lavori di ricostruzione aggiungiamo qui, per l’implicazione della materia, le realizzazioni artistiche.

In essa furono dipinti e collocati i seguenti nuovi quadri e sottoquadri: La Vergine col Bambino tra S. Lucia e S. Biagio, la Madonna del B. Consiglio, S. Carlo Borromeo, L’Assunta, La Madonna con i Santi, la Pala di S. Silverio. Inoltre furono scolpiti i due Angeli della Passione in legno policromo.

Chiesa di SS. Annunziata

In questa chiesa nel sec. XVIII furono collocati: La Concezione tra S. Liborio e S. Vincenzo Ferreri, S. Rocco, L’Annunziata, Le Anime Purganti, La Pietà.

Del valore artistico di queste opere, distrutte nell’ultima guerra, aveva già scritto nel suo schedario la Soprintendenza alle Belle Arti e ai Monumenti.

Edifici Civili

Anche l’arte urbanistica si incrementò. Lo si vede dai palazzi settecenteschi o costruiti, o abbelliti con portali di quel secolo.

Tali sono, per es., quelli di via Cavour, al n. 2 e al n. 57; quello di via Garibaldi elencato dalla detta Soprintendenza alla voce Chirico e quello posto al n. 2 della stessa via; quelli di via Angeloni, al n. 6, al n. 18, al n. 22, ecc.

(Panoramica di alcuni palazzi settecentesci)

Aggiungiamo ancora quelli del rione Giardino, in alcuni dei quali vi si scorge ancora il monogramma di Cristo e il millesimo (1764), a ricordo di una missione religiosa e forse per lo scampato pericolo della temuta peste di quell’anno.

Tutte queste opere dimostrano chiaramente che il sec. XVIII, nonostante la crisi economica sopra ricordata, fu per Frosinone un secolo di forte incremento.

(Chiave di volta con il monogramma di Cristo e il millesimo 1764)

POEMETTO SETTECENTESCO SU FROSINONE

Lo sviluppo demografico e culturale assunto da Frosinone nel sec. XVIII trova un’espressione letteraria in un poemetto celebrativo del 1768.

Siamo nel secolo dell’Arcadia. Allora tutto era arcadico. Anche il componimento poetico di cui vogliamo parlare è opera di un pastore, Eufemo Euritidio, che corrisponde al nome di D. Antonio Batta.
Non conosciamo il curricolo di questo autore. Sappiamo solo, (perché lo dice lui stesso), che prima di comporre il poemetto su Frosinone, ne aveva scritto un altro su Civitavecchia. Era di carattere gioviale:
«Per attaccarimi un tantinel di brio,
a cui tirato sono al maggior segno».

Per questa sua caratteristica volle chiamare il suo componimento «Capitoli Giocosi».

L’opera non ha nessun pregio letterario. Però ha certamente un gran valore storico. Essa ci dice quali erano le idee su Frosinone nel ‘700, ossia nel secolo in cui fu scritta in latino la prima storia della città e ne furono decantate l’antichità, la sede vescovile, la sua importanza nella storia di Campagna e Marittima.

Circa l’origine di Frosinone vi si dice che è colonia di Alba Longa, capoluogo dei Latini, ed anteriore a Roma di 300 anni. Ecco perché l’Angeloni era delle stesse idee e celebrava la sua città come più antica della regina del mondo.

In quanto al nome vengono prospettate tre ipotesi: O che il nome di Frosinone deriva dal luogo, o dal nome del condottiero che vi stanziò i primi frusinati, o dall’insegna che i soldati portavano sull’asta. L’autore è per questa terza ipotesi e afferma che il nome di Frosinone derivi dall’uccello Frosone. Era proprio dei Latini innalzare sulle aste qualche uccello. Infatti i Romani vi inalberarono l’aquila.

Ecco le parole testuali:

Però se in questo avessi a dir la mia.
Direi, che da Frosone sia dedutto,
Che che in contrario addur se ne potrìa;
............
E poi se il Latin Popolo tenea
Costume di portar figurato
Su l’arte quell’Uccello che volea,
Che non sol dava il nome al corpo armato
Dei suoi soldati, ma ben anca al loco,
Ove a svernar veniva destinato»

.

Il poemetto, diviso in due «capitoli», continua poi a descrivere il colle sul quale sorge Frosinone, l’amenità e la fertilità delle terre, la laboriosità degli uomini, la fecondità delle donne, la virtù degli uni e delle altre, i meriti di S. Ormisda, S. Silverio e di altri illustri frusinati.

Nelle note poi spiega i riferimenti che fa nei versi. Da queste note veniamo a conoscere diverse cose su Frosinone. In una di esse vi si esprime la convinzione che la città, piantata originariamente sul Colle (S. Maria), si allargò nelle contrade Civita, Colle Tinello, Colle Ceraso, discendendo verso la valle fino ad essere bagnata dal fiume Cosa.

Vi si afferma che ai tempi in cui furono scritti questi versi (1768) era ancora in piedi Porta S. Martino: « Nella sua antica forma si vede, detta in oggi Porta S. Martino».

L’autore tratta anche delle epigrafi antiche trovate a Frosinone nelle proprietà Ciceroni e Bompiani, mettendo in evidenza le due che nella collezione del Mommsen portano i numeri 5662 e 5664. Poiché dette iscrizioni non hanno data, egli assegna un tempo molto più antico di quanto abbiano fatto i moderni studiosi.

Avvertendo poi che a Frosinone non si erano conservati i monumenti antichi, scrive:

«Di Frosinon la grande antichitade
Miro, e rifletto non senza stupore
Come lacero, e guasto il tutto cade
In gola di quel tempo traditore,
Che in polve riducendo ogni struttura
E’ di Macchine, e Torri il distruttore»
.

Concludendo questa breve presentazione del poemetto settecentesco, ripetiamo che esso ha valore storico e per questa ragione non andava e non va dimenticato.

A puro titolo di cronaca portiamo anche a conoscenza del lettore che, in una nota del detto poemetto, l’autore dice che non molto tempo prima che egli scrivesse il suo componimento era stata trovata in contrada Valle la statua di M. T. Varrone segnata con la qualifica di Prefetto. Da ciò conclude che nel periodo in cui Frosinone era prefettura ebbe come capo dell’amministrazione l’illustre scrittore romano.

Non abbiamo avuto modo di controllare e verificare la notizia. Potrebbe darsi che venga confusa la statua di Varrone con quella di Marte. Comunque noi riportiamo le testuali parole di Eufemo, ossia del Batta: «Infatti circa l’anno 224 av. GC., 530 di Roma, Marco Terenzio Varrone, asceso poi al Consolato, in qualità di Prefetto, ebbe residenza in Frosinone, divenuto già capo di Provincia, ut jus diceret et nundinas ageret. La statua al medesimo eretta dal popolo in quel tempo, è, non ha molto scoverta in contrada detta la Valle, tanto convince, attesa la chiara e ben distinta incisione che aveva su dei piedi: “ Varro Praefectus “».

LA NUOVA CHIESA DI S. MAGNO

Il sec. XVIII non vide soltanto l’ampliamento della chiesa di S. Maria e la costruzione del campanile, come anche la trasformazione di S. Benedetto, ma vide altresì la costruzione della chiesa di S. Magno.

Abbiamo già visto che nel 1581 questa cappella di campagna era unita alla chiesa arcipretale e nel 1676 fu interdetta dal vescovo Riccardo degli Annibaleschi, perché il suo altare era in stato di abbandono.

Nella prima metà del sec. XVIII essa fu ricostruita dall’avv. Silvio De Sanctis. Da quella data inizia una nuova vita. Il nominato De Sanctis, con suo testamento presso Notaio Sercamilli, aperto il 13 novembre 1747, creò due cappellanie laicali per l’ufficiatura di detta chiesa:
«Voglio ed ordino che di tutti li miei beni formar debbansi due Cappellanie mere Laicali perpetue non amovibili ambedue sotto il titolo ed altare di S. Magno, chiesa da me fabbricata nel Territorio di Frosinone mia patria». Il diritto a nominare i cappellani lo conferì alle famiglie Casanuova e Grappelli e precisamente ai discendenti diretti in linea primogenita maschile: «Della quale prima cappellania da erigersi colla metà dei beni come sopra denotati lascione il jus e diritto di nominare ed apporre il Cappellano al signor Flaviano Casanova di Frosinone... Della qual seconda Cappeltania voglio che il jus di nominare, seu apporre il Cappellano sia ed appartenga al signor Nicola Grappelli di Frosinone».

Il 10 agosto 1766 Flaviano Casanova scrive all’ab. Giambattista Grappelli in Roma, per accusargli ricevuta dell’indulto pontificio che accordava l’indulgenza plenaria alla chiesa di S. Magno.

La linea maschile della famiglia Casanova si estinse il 18 dicembre 1814 con la morte di Giuseppe avvenuta a Sora. Sottentrò allora la famiglia Grappelli nel diritto di nomina in entrambe le Cappellanie.

Stiamo raccontando questi fatti, oggi privi di interesse, per dar modo al lettore di acquistarsi un’idea della vita ecclesiale di quei [empi. Anzitutto bisogna notare che allora la nomina del rettori di chiesa veniva fatta anche da laici. Si noti come è sottolineato nel nostro caso: «quali cappellanie dovranno come ho detto essere mere laicali non volendo, che nell’elezione di esse, e per i cappellani abbia ingerenza o parte alcuna il Vescovo, o sia Ordinario del luogo, ed altro qualsivoglia superiore ecclesiastico, o che su di esse entrar Possa alcuna riserva, o affezione o qualsivoglia deroga Apostolica». Naturalmente l’autorità ecclesiastica entrava per disciplinare il culto.

Altra circostanza da ricordare è questa, che venivano nominati cappellani anche dei semplici fanciulli, con la licenza della S. Sede, e con la sola tonsura, ossia senza alcun ordine sacro. Così nella cappellania di S. Magno è avvenuto che nel 1779 è stato nominato cappellano Nicola Grappelli di Giambattista, di appena cinque anni, e il 31 dicembre 1846 fu nominato Giambattista Grappelli all’età di 9 anni, cinque mesi e due giorni, da Leonardo Grappeli suo padre.

Per completare l’informazione sulla chiesa di S. Magno ricorderemo che, con la morte della sig.ra Anna Grappelli in Mosca, ultima erede di casa Grappelli, la chiesa è passata alla famiglia Lattanzi, perché i figli di Maria Grappelli, sposata Lattanzi, sono stati nominati eredi dalla detta Anna Grappelli Mosca.

IL QUADRO DELLA M. DEL BUON CONSIGLIO IN S. BENEDETTO

Maria Salome Ronca da Veroli verso il 1760 entrò in casa Ciceroni di Frosinone in qualità di «fantesca». In detta casa si custodiva una immagine della M. del B. Consiglio che si riteneva appartenere «alla scuola di Giulio Romano, o di Raffaello Sanzio».

La famiglia Ciceroni aveva acquistato quella tela per mezzo del P. Palladi, Agostiniano. La Ronca si innamorò di quel quadro e ottenne di poterlo collocare nella sua stanza. Dopo qualche tempo la famiglia Ciceroni doveva rimettere a nuovo il palazzo, quindi Maria Salome fece sistemare l’immagine in casa di sua sorella che abitava presso la casa Guglielmi. Insieme a due signorine Ciceroni andava spesso a recitare il rosario dinanzi al quadro. La sera del 10 luglio 1796, due ore dopo l’Ave Maria, il gruppetto delle devote si recò come al solito a venerare la Madonna. Avevano convenuto che, dopo la recita della Salve Regina, Geltrude Ciceroni di 15 anni, essendo la più piccola, avrebbe rimosso il velo che custodiva l’immagine. Questa al momento di compiere quell’atto ebbe difficoltà a farlo. Allora intervenne la Ronca e svelò l’immagine. E’ a questo punto che viene notato per la prima volta che l’effige della vergine muove le palpebre. Insieme al solito drappello di devote, c’erano questa volta anche altre, tra cui Aurelia Pilotti.

Tutti notarono il fenomeno e si misero a gridare. Vi accorse il farmacista Giacinto Tesori, insieme al capitano Michele Cerroni e i signori Pietro Spaziani e Anselmo Lavinia. Il fatto era accaduto in casa Guglielmi, in rione Civita, n. 97.

Poco dopo accorre anche il Canonico Cerroni che porta il quadro nella chiesa di S. Benedetto. Tutta la notte fu un accorrere di fedeli. Il sig. Carlo Ciceroni, uno dei capi conservatori del municipio non voleva credere, ma poi constatò il fenomeno con gli occhi suoi e depose nel processo.
Il prodigio consisteva in questo, La Madonna apriva gli occhi e guardava i fedeli, poi il viso diveniva colore vermiglio. Alle volte l’occhio sinistro che guardava il Bambino si velava di pianto. Il P. Francesco De Paola, liguorino, predicò un triduo, esortando a penitenza e alla devozione verso la Madonna.

Alla domenica successiva si fece una processione. Vennero a visitare il quadro i vescovi di Veroli, Anagni, Alatri e Ferentino. Ci furono dei miracoli riferiti nel processo a pag. 83.

Il miracolo si ripeté per sei mesi.

Vennero doni e offerte. Domenico Antonio Guglielmi offrì sc. 300.
Con queste oblazioni fu rimessa a nuovo la navata centrale di S. Benedetto, preparata una corona all’immagine e costruita una «macchina» per collocarla, ossia la raggiera che ancora oggi si vede.

Il vescovo di Veroli Mons. Antonio Rossi ordinò l’istruzione del processo e l’affidò al vicario generale Xante Paterni. Esso porta il seguente titolo: «Frusinonis 1796. Coram Ill.mo Xante Paterni Vicario Generali Curiae episcopalis Verularum super excelsis innumerisque prodigiis operatis a Deipara semper Virgine Maria sub titulo Boni Consilii mediante Eius Ven. Effigie in tela delineata. Ioseph Marcocci Notarius Cancellarius Ecclesiasticus».

Venne poi l’invasione francese e il martirio di Frosinone, seguito alla rivolta del 26 luglio 1798. I soldati polacchi, comandati da Mac-Donald depredarono, incendiarono le case, trucidarono molti frusinati, rubarono anche la corona dell’immagine e misero i cavalli in tutte le chiese. In quella circostanza Celestino Tornei nascose il quadro, ma il sac. Filippo Ciceroni espose subito una copia.

Nel 1800 il popolo rifece la corona e si procedette all’incoronazione, di cui fu redatto l’atto notarile.

Il quadro nascosto dal Tornei fu riesposto al pubblico il 5 ottobre 1863 e fu redatto altro atto notarile.

Padre Ignazio BARBAGALLO Agostiniano Scalzo

(FROSINONE - Lineamenti storici dalle origini ai nostri giorni)
- "Editrice Frusinate 1975"

Per le citazioni storiche, la bibliografia ed altro, si rimanda ad una consultazione diretta dell'opera.

INIZIO PAGINA