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TERRA CIOCIARA: STORIA - URBANISTICA - FOLKLORE - AMBIENTE


LA CONVERSIONE AL CRISTIANESIMO

"LE GLORIE MAGGIORI DI FROSINONE"

I SANTI PATRONI DELLA CITTA'

Ormisda e Silverio

Alla fine del primo paragrafo del capitolo precedente abbiamo riportato un’espressione del Moroni, in cui si fa accenno agli onori e preminenze venute a Frosinone dopo la sua conversione al Cristianesimo. Si è già chiarito il pensiero dell’autore, sottolineando che egli intendeva riferirsi ai due pontefici frusinati. Infatti subito dopo aggiunge: «Il secolo sesto per Frosinone fu veramente glorioso nei fasti ecclesiastici, perché la Chiesa universale venerò nella cattedra apostolica S. Ormisda...».

Non possiamo quindi non occuparci di queste autentiche fulgide glorie di Frosinone cristiano. Lo faremo in modo breve e sintetico. Il lettore che già è abituato a vivere nel mondo secolarizzato, all’udire parlare di santi, avvertirà, per dirla col Papini «un leppo di lucignolo spento, un puzzo d’incenso svanito». Però Ormisda e Silverio non sono grandi solamente per la loro santità, ma anche per la magnanimità, lungimiranza e fortezza dimostrata nell’impostazione e svolgimento della loro opera. Essi, dopo S. Gelasio I, sono stati coloro che hanno saggiamente imboccato quella strada nei riguardi degli Ostrògoti, che dopo di loro seguirà provvidenzialmente S. Gregorio Magno nei riguardi dei Longobardi. Sono quindi fari di luce e maestri di condotta in quell’epoca tempestosa, nella quale si incontravano e si scontravano barbari, romani e bizantini - (Teodorigo mosaico a sinistra).

La loro fu un opera veramente storica. Entrambi possono proclamarsi modelli di dialogo e di concordia tra civiltà e culture opposte. Quantunque però appartengano alla stessa epoca, tuttavia sono vissuti in due fasi differenti: S. Ormisda quando l’imperatore Giustino non aveva ancora iniziato la guerra politico - religiosa contro i Goti; San Silverio invece quando questa lotta giunse alla fase più critica. Il primo fu modello di operosità nella calma che segui la tempesta dello scisma acaciano, il secondo rese la testimonianza del sangue per non tradire la sua coscienza e la consegna che Cristo gli aveva dato per mezzo di Pietro: «Pasci i miei agnelli».

I due Pontefici meritano, non un cenno, ma un volume a parte. Qui ci contentiamo di richiamarne la memoria, nella speranza che tra la gioventù studiosa sorga chi si occupi di loro nel modo che meritano.

"S. ORMISDA"

Figlio di Giusto. Non si conosce la data precisa della sua nascita, ma è certo che è nato a Frosinone. Verità pacifica dopo le indagini compiute dagli studiosi. Fu eletto Pontefice il 20 luglio 514. Apparteneva al clero di Roma in qualità di diacono. Ciò si spiega, come abbiamo sopra notato, forse perché Frosinone aveva una Chiesa con vescovo, filiale di Roma. Essendo stato diacono del suo predecessore S. Simmaco, fu spettatore delle vessazioni da questi patite ad opera dell’antipapa Lorenzo, del senatore Festo e della cricca di entrambi. L’elezione al pontificato era stata predetta ad Ormisda dal vescovo di Arles San Cesareo. Giunse al soglio pontificio ricco di esperienze, di cultura e di virtù. «Uomo virtuoso, di vita esemplare e di azioni illustri», riconciliò la Chiesa greca con la latina, dopo 35 anni di scisma a causa delle lotte eutichiane e, il 28 marzo 319, giorno di giovedì santo, la sua formula di fede fu sottoscritta dal Patriarca costantinopolitano Giovanni e poi da altri 2500 vescovi.

A lui si deve l’organizzazione della Chiesa nella Spagna, dopo la conquista e conversione dei Visigoti; a lui la riorganizzazione della vita ecclesiastica in Africa, dopo le invasioni dei Vandali. Sotto di lui si convertirono i Borgognoni dall’eresia, gli Etiopi abbandonarono il paganesimo, i Franchi rinnovarono e rafforzarono il loro attaccamento alla sede apostolica, inviando oro e argenti a S. Pietro. Egli stabilì che, almeno una volta all’anno, si celebrassero i Sinodi provinciali; sancì che non si dessero i vescovadi per privilegio o dietro compenso, ma solo a chi ne è meritevole; promosse la riforma morale dei fedeli e quella spirituale del clero, incentrando la formazione sulla vita liturgica. Infine, durante il suo pontificato, S. Benedetto fondò l’Ordine che doveva ricivilizzare l’Europa invasa dai Barbari.

Il Jaffé nel suo Regesto elenca 104 documenti del governo pontificale di Ormisda. Tra questi c’è il Sinodo per l’invio dei legati in Grecia, in occasione del ristabilimento dell’unità della Chiesa; vi è anche il decreto che riporta il canone dei libri sacri, che poi sarà oggetto di definizione del Concilio di Trento. Gli altri documenti sono lettere o inviate da lui o dirette a lui. Di queste il Tancredi, che fu professore del ginnasio di Frosinone ne ha tradotte e stampate n. 81. Questo autore fa notare che Ormisda è un nome persiano che significa luce. Il nome non è raro. Il Gregorovius racconta che quando Costanzo, il figlio di Costantino il Grande, venne a Roma nel 357, era accompagnato dal persiano Ormisda. Tale nome - scrive il Tancredi - conviene perfettamente al papa frusinate, perché fu un vero emblema dell’uomo di Chiesa «come il sole splendente sul tempio dell’Altissimo e come fuoco e incenso sul braciere».

La Ida Corti Ferranti nel suo articolo su S. Ormisda per la Bibliotheca Sanctorum riporta l’epigrafe che il figlio S. Silverio fece apporre sulla tomba del padre. «Quantunque - è detto - questi elogi non siano degni del tuo sepolcro, né la fede che tu hai illustrato abbia bisogno di questi omaggi, tuttavia gradisci, o Padre, queste lodi che il pellegrino, devoto della cattedra di Pietro, vuole presentarti venendo da lontano».

Ormisda morì dopo nove anni e undici giorni di pontificato. Il Baronio nel ricordarne la data, esclama «godino adunque i nobili popoli frusinati, si gloriino di tanto grande concittadino; però non loro soltanto ne celebrano degnamente la festa, ma tutta quanta la Chiesa, che in Occidente ne ricorda la nascita al cielo il 6 Agosto».

"S. SILVERIO"

Anche lui, come suo padre Ormisda, prima di entrare nello stato ecclesiastico era ammogliato. Esercitava l’ufficio di suddiacono nella Chiesa romana, quando l’8 giugno 536 fu assunto al Pontificato. La sua elezione era stata imposta dal re ostrogoto Teodato, «dal ricordo della buona intesa intercorsa fra Ormisda e il re Teodorico». In effetti anche Silverio teneva un atteggiamento benevolo e conciliante verso gli Ostrogoti. Ciò fece buon gioco ai partigiani radicalisti di Bisanzio, per montargli contro la calunnia che era stato eletto simoniacamente. La storia ha sbugiardato i suoi calunniatori. Bastino per tutte le parole del protestante razionalista Gregorovius: «Ma il suo comportamento (Belisario) contro papa Silverio non può ottenere discolpa nell’accusa di segreti accordi coi Goti, che si muoveva contro quel pontefice; imperocché egli fosse appunto quegli che aveva pur dianzi confortato i romani ad accogliere subitamente Belisario entro la città. Procopio narra di questo triste avvenimento con brevi e moderate parole». Lo stesso autore aggiunge: «Ma la cronaca dei Papi narra che, la caduta di Silverio fosse cagionata da intrighi dell’Imperatrice Teodora».

Il dramma e la tragedia finale del pontificato di S. Silverio si snodano all’insegna della calunnia, della malafede, del settarismo e dell’ambizione. La regìa è dell’imperatrice Teodora sostenitrice, contro Roma, degli eretici monofisiti. Suo strumento principale il cortigiano Vigilio, che, pur d’arrivare al pontificato, aveva promesso di annullare i decreti di Pp. S. Agapito I e del Concilio del 2 maggio 536 - (immagine a sinistra).

Ecco brevemente la trama dei fatti. Il citato S. Agapito I, predecessore del nostro Silverio, mentre si trovava a Costantinopoli, chiamatovi dagli archimandriti e monaci di Oriente, aveva deposto il vescovo monofisita Antimo di Trebisonda. Poco dopo, il Concilio da lui convocato, ma non presieduto per l’avvenuta sua morte, confermò il decreto pontificio nella sessione del 21 maggio 536. Insieme ad Antimo furono condannati e deposti altri due vescovi e un monaco. L’imperatore Giustiniano - (riportato nel mosaico) - aveva fatta sua questa condanna. La moglie Teodora invece, protettrice degli eretici, spedì Vigilio di corsa a Roma, perché vi fosse eletto pontefice e da lui poi venissero annullate le sentenze emanate contro i suoi protetti. A tale scopo scrisse al generale Belisario perché facesse eseguire l’ordine imperiale.
Vigilio, che si era impegnato a concedere quanto chiedeva Teodora, corse di filato a Roma. Ma qui ebbe una amara sorpresa: il nuovo papa era stato già eletto. Era Silverio. Cosa fare? Ottenne dal pontefice di poter ritornare a Costantinopoli come suo nunzio. Nel viaggio fa una sosta a Napoli, per mettere al corrente Belisario e studiare insieme a lui i passi da compiere. Poi riprende il cammino per Costantinopoli, mentre il generale prende la via di Roma. Quivi Belisario è accolto trionfalmente, ad opera del papa Silverio; ma è nello stesso tempo da questi fortemente ripreso per le stragi che aveva menate a Napoli; dopo di che rientra alla città partenopea per riparare i danni arrecati.

Mentre in Italia si svolgevano questi fatti, a Costantinopoli Teodora e Vigilio avevano messo a punto un nuovo piano. Bisognava fare andare Silverio a Costantinopoli, in modo che a Roma Vigilio fosse elevato al pontificato. L’imperatrice - (mosaico a sinistra) - dunque scrive a Silverio intimandogli o di riabilitare gli eretici, ovvero che lui vada alla corte imperiale. Silverio legge e commenta: «Questo affare mi costerà la vita».
Poi prese lo stilo e scrisse: «Non sarà mai che un eretico e condannato da un concilio, io lo rimetta a governare il gregge di Cristo». Ma la partenza di Silverio non dipendeva solo dalla sua volontà. L’imperatrice aveva scritto anche a Belisario perché piegasse il papa o a concederle quello che chiedeva o a spedirlo a Costantinopoli. Belisario, che già aveva conosciuto che uomo fosse il bersaglio preso di mira da Teodora, nel ricevere la missiva della corte esclama: «Io farò quanto mi è comandato, ma chi perseguita a morte papa Silverio ne renderà conto a Gesù Cristo».

Nel frattempo l’ostrogoto Vitige aveva assediato Roma mentre vi era Belisario. Una buona occasione per montare una calunnia ai danni della vittima. Se ne prende l’incarico la scandalosa moglie del generale Bizantino, Antonina, degna cortigiana della sua padrona. E’ chiaro, ella dice, l’assedio di Roma da parte delle truppe ostrogote è stato preparato da Silverio. I fatti parlano da sé. Così Silverio fu spedito in esilio a Patara di Licia e, il 22 novembre 537, per ordine di Belisario, fu eletto papa l’ambizioso Vigilio. Il colpo era finalmente riuscito.

Senonché, l’imperatore Giustiniano, riconosciuta l’innocenza di Silverio, lo restituisce alla sede di Roma. Quando Vigilio si rivide dinanzi il vero pontefice ricorse a Belisario perché lo allontanasse con la forza e, il generale, obbediente, lo relegò all’isola di Ponza, dove Silverio morì - si disse - di morte naturale il 20 luglio 538. Procopio però, che era presente sul luogo asserisce che fu assassinato dal sicario Eugenio, spedito da Belisario e così ritennero i contemporanei.
Silverio dunque è un martire della coesistenza tra italiani, ostrogoti e Bizantini, ma soprattutto dell’integrità della fede rivelata.

I Frusinati, da cui sono usciti i due pontefici ora ricordati, hanno di che andare orgogliosi e, supposto ma non concesso, che non avessero altre glorie avite, potrebbero gloriarsi di aver dato alla chiesa ed alla storia due uomini di alto livello morale.

Essi ancor oggi parlano ai propri concittadini, non solo attraverso le loro statue d’argento e di bronzo, che fiancheggiano il presbiterio della concattedrale di S. Maria, ma anche attraverso i due umili «Largo» a loro dedicati dalla toponomastica urbana. La lapide cominernorativa che noi oggi leggiamo al Largo S. Ormisda è molto eloquente. Non troviamo di meglio che chiudere questi rapidi cenni col riportarne l’iscrizione:

LARGO S. ORMISDA FRUSINATE

ELETTO PONTEFICE IL 20 LUGLIO 514,

INERME SOVRANO DI UN POPOLO OPPRESSO COLL’INGEGNO ROMANAMENTE TRIONFA CONTRO LA BARBARIE

DI IMPERATORI E RE, RIUNISCE LA CHIESA D’ORIENTE E QUELLA D’OCCIDENTE E TRA IL PIANTO E LA LODE

DI TUTTI I BUONI MUORE IL 6 AGOSTO 523.

"IL PRIMICERIO GERONZIO"

Ma con i due papi bisogna anche ricordare un altro illustre frusinate, il primicerio della Chiesa romana Geronzio.

Questi era consanguineo di Ormisda e Silverio; anch’egli aveva avuto moglie prima di essere iscritto tra il clero. Queste notizie le sappiamo dall’epitaffio posto sulla sua tomba che tu ritrovato nel 1757. L’epigrafe fu spiegata dall’ab. Galletti. Il primicerio della Chiesa romana era allora il capo di tutta la curia del Patriarchium lateranense. In tale veste egli aiutò molto il suo consanguineo Ormisda. Il Moroni, attingendo dal Galletti, afferma: «Il primicerio Geronzio d’illustre stirpe, coll’opera sua e ministero contribuì alla gloria del pontificato del suo parente S. Ormisda». Il titolare di tale ufficio presiedeva anche al collegio dei sette giudici del Clero e apparteneva per lo più alla aristocrazia dell’Urbe.

Tre frusinati dunque ai primi posti nella chiesa romana del secolo VI. Frosinone era qualcosa!

Purtroppo fu anche quello il periodo in cui, in soli sedici anni (536 - 552), Roma fu conquistata e abbandonata ben 15 volte da Ostrogoti e Bizantini e, da un milione di abitanti, quanti ne aveva ai tempi di Augusto, scese ad appena 50.000. A un certo punto rimase anche per quaranta giorni completamente spopolata per essere abitata solo da sciacalli.

Frosinone durante quel doloroso dramma storico «subì il ventennio di guerra degli eserciti imperiali di Bisanzio per la liberazione dell’Italia dal dominio dei Goti».

Orbene, è a questo cupo e fosco periodo della storia, «unico in Europa e forse nel mondo» (Hertling), che bisogna far risalire la prima ragione della scomparsa del vescovado frusinate, filiale di quello di Roma, di cui abbiamo parlato sopra.

La Commissione Culturale riporta una nota del Barbagallo riguardante la carta stradale che va sotto il nome di Tavola Peutingeriana che non nomina Frosinone, mentre era nominato nell’Itinerarium Antonini (II sec). Non è neanche ricordato nella Cosmografia dell'anonimo ravennate, e in quella di Guidone. Si sa che gli studiosi collocano la Tavola tra i sec. III - VII e le due Geogrofie accennate tra i sec. VII - VIII. Questa circostanza ci conferma nell’opinione che Frosinone dovette essere devastato all’epoca delle guerre gotico-bizantine e per cui anche, come abbiamo già ricordato, scomparve la sede vescovile.

Padre Ignazio BARBAGALLO Agostiniano Scalzo

(FROSINONE - Lineamenti storici dalle origini ai nostri giorni)
- "Editrice Frusinate 1975"

Per le citazioni storiche, la bibliografia ed altro, si rimanda ad una consultazione diretta dell'opera.

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