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TERRA CIOCIARA: STORIA - URBANISTICA - FOLKLORE - AMBIENTE


IL NEOCLASSICISMO A FROSINONE

"FRATELLI MACCARI"

Poeta della bontà, della grazia e della gentilezza, si pasceva della lettura dei nostri poeti, dei vangeli, degli Atti degli Apostoli e Lettere di San Paolo.

Negli anni che corrono tra la Repubblica Romana e l’Unità d’Italia fiorì a Roma una scuola poetica nella quale, a detta di critici letterari, emersero su gli altri i due fratelli Maccari da Frosinone.

La devozione - immagini sacre sulle mura delle case - FrosinoneIl Sapegno, nella sua breve storia della letteratura italiana, che ha avuto 24 edizioni in 22 anni, parla di due reazioni letterarie al romanticismo letterario deteriore, degenerato nel «sentimento flaccido e lacrimoso»: La scapigliatura e un ritorno alla tradizione letteraria illustre ed ai classici.

I due fratelli Maccari rientrano in questo secondo gruppo. Il detto autore, dopo aver parlato dello Zanella, di Alinda Bonacci Brunamonti, Vittoria Aganoor Pompili e Mario Rapisardi, porta il discorso sui due frusinati. Ecco le sue parole:
«Forse è più notevole e più ricca di suggerimenti nuovi, sebbene svoltasi in un clima appartato e con scarse risonanze e oggi quasi del tutto dimenticata, l’esperienza dei poeti della cosiddetta “scuola romana“, tra i quali emergono soprattutto le figure di Giambattista Maccari (1832 - 1868) e del suo minore fratello Giuseppe Maccari (1840-1867).

Il loro amore della tradizione è più schietto, più ingenuo ed anche più vario; il loro classicismo non è quello dei neoclassici: da un lato risalgono ai greci, alla gentilezza di Anacreonte, alla pura semplicità di Esiodo; dall’altro, vanno in cerca nei vecchi libri delle intonazioni di una fantasia popolaresca, gracile e musicale, e riecheggiano le ballate dei fiorentini del Duecento, del Sacchetti, del Poliziano, di Olimpo da Sassoferrato, e il Petrarca più tenue e melodico.
Inoltre risentono da vicino l’influsso del Leopardi, e si sforzano di riprodurre i modi, non dove è più alto e metafisico, sì dove la sua rappresentazione si fa più minuta e precisa, aderente al particolare umile con tocchi lievi e pieni di tenerezza.
Se in questo sforzo di assimilare i temi del Leopardi idillico essi sono quasi soli al loro tempo (e ciò basterebbe a meritare ai loro versi una maggiore attenzione da parte dei critici); d’altro canto il loro classicismo irrequieto e delicato, quel vagheggiamento di fantasie stilnovistiche e quattrocentesche, preannuncia abbastanza nettamente una tendenza di taluni carducciani, e, a tratti, del Carducci stesso. Vero è che si tratta di un’attività tutta sperimentale, di una lunga e amorosa esercitazione, cui non arrise mai, o quasi mai, il conforto di una raggiante perfezione poetica».
Questo giudizio ci sembra il più obiettivo e completo di quanti ne abbiamo letti. Per questo motivo l’abbiamo riferito per intero.

La devozione - immagini sacre sulle mura delle case - FrosinoneEd ora un breve cenno su entrambi.

Giambattista Maccari

Nacque a Frosinone il 19 ottobre 1832 da Francesco Antonio e da Eleonora Bracaglia. Il padre, nativo di S. Biagio della Cima (Imperia), si era trasferito a Roma; dalla capitale venne a domiciliarsi a Frosinone, indotto dal delegato apostolico Giov. Antonio Benvenuti, e qui si impiegò nella delegazione.
Il nostro Giambattista fu messo in educazione nel collegio degli Scolopi dì Alatri, dove era rettore il Padre Pietro Taggiasco, ligure e amico del padre. Quivi si formò sugli autori del ‘300 italiano e vi apprese l’aurea semplicità.
Leggeva con amore le Vite del Cavalca, i Fioretti di S. Francesco, i Fatti di Enea, del Passavanti e del Giambullari.
A 15 anni già componeva versi che circolavano tra i compagni. Però è stato il paesaggio frusinate a farlo poeta. Ce lo fa sapere egli stesso.

Un picciol fiume ed una fresca e bruna
Valle natia cu ‘l sol morendo allieta
Sol ne’ primi anni miei mi fer poeta,
chè assai fu bel paese dov’ebbi io cuna.
Quivi tre lustri in povera fortuna
Menai la vita mia dolce quieta.
Poi convenne seguire altro pianeta,
Ond'io non ebbi e non ho gioia alcuna.
Pur, Gnol mio, le violette e il verde
Della mia valle ho ancor sempre negli occhi,
E fuor che il rimembrar nulla mi avanza.
E nel cantar non è che più mi tocchi
D’un colle o rio che di lontan si perde,
e d’una cara villereccia stanza
.

Dal collegio di Alatri passò a quello di S. Maria della Pace in Roma, dove studiò filosofia e poi giurisprudenza all’Università, senza abbandonare le lettere e i classici. Durante la Repubblica del 1849 rientrò in patria e continuò gli studi di legge per due anni, che poi a Roma gli furono computati per uno. Si laureò in giurisprudenza e fu iscritto tra i procuratori dell’allora foro innocenziano.

La devozione - immagini sacre sulle mura delle case - FrosinoneNel 1851 gli morì il padre, che era segretario della delegazione. Rimasto orfano a 19 anni, si dette tutto alla cura della mamma e dei fratelli. Chiamò a Roma prima Leopoldo, secondogenito, e poi Giuseppe, che si dettero tutti e due alle lettere.

Il card. Altieri gli fece avere dal Papa un ufficio col quale avrebbe potuto vivere senza preoccupazione, ma, quando andò a prenderne possesso, il Direttore gli disse che il posto era già occupato. Gli venne incontro la signora Giovannina Lezzani, moglie di Luigi, che gli sistemò nella propria casa il fratello Leopoldo.
«Dalle soglie dei potenti aborriva». Fu ben voluto e confortato dagli amici e letterati Achille Monti, Ignazio Ciampi, Domenico Gnoli, Paolo Emilio Castagnola, Ludovico Panni, Basilio Magni, Augusto Caroselli e altri.

Frattanto D. Giovanni Torlonia gli finanziò la stampa delle Poesie e Mons. Pila, ex delegato a Frosinone, divenuto ministro dell’interno, gli procurò un posto all’archivio. Con la prospettiva di un avvenire più sereno, chiamò a Roma la mamma, gli altri due fratelli minori e la sorella. Però ne seguono dolori.

La mamma gli si ammala si da dare veri segni di pazzia e il fratello Leopoldo, dopo malattia penosa, muore il 4 luglio 1866.
Egli dovette addossarsi il peso, non solo della mamma e della sorella, ma anche della cognata e dei due nipotini. Sopraggiungono altri disastri.
Gli si ammalano tutti e poco dopo gli muore il fratello Giusappe, che con i suoi guadagni aiutava a sostenere la famiglia. Ben presto si ammala anche lui del male alla gola col quale morirono i fratelli. L’amico Pietro Codronchi se lo portò a Imola nella sua villa con la speranza di farlo riprendere. Tutto fu vano.

Il nostro Giambattista ritorna più grave e il 19 ottobre 1868, anniversario della sua nascita, muore serenamente.

Poeta della bontà, della grazia e della gentilezza, si pasceva della lettura dei nostri poeti, dei vangeli, degli Atti degli Apostoli e Lettere di San Paolo.

In una poesia alla Vergine così si esprime:

...ti prego a ricordarte
ch’esser vò teco, e ne favelli a Dio.
Questa prece t’ho fatto in mille carte;
Tu che sai del mio male ogni radice,
Non far che sien mie voci al vento sparte
Ma fammi teco libero e felice
.

Del nostro Giambattista possediamo le seguenti pubblicazioni:

Due feste di maggio. Stanze... - Firenze 1853; Poesie - Firenze 1856; Odi di Anacreonte - Roma 1864; Hesiodus. Le opere e i giorni - Roma 1856; Nuove Poesie... - Imola 1869; Lettere inedite - Roma 1878; Nelle nozze di... Giulio Harduin... con Natalia Lezzani...

Il volume Poesie consta di Canzoni N° 6, Ballate N° 6, Sonetti N° 8, Odi N° 3, Idilli N° 8, Terzine N° 2, Ottave N° 5, Sestine N° 1, che è un canto alla croce.

Ecco come canta le donne con tono stilnovistico:

Chi vuoi cantare dolcemente d’amore
Convien che doni a vaga donna il core
.

Quindi, dopo aver celebrato la creazione della donna, continua:

Onde chi vuol la mente a Dio levare
E avere tra noi dei Paradiso fede,
Negli occhi vostri deve riguardare,
Ove ogni pregio di virtù si vede;
Ché il Signore nostro ha posto in voi la sede
Benignamente d’ogni suo favore

................

Qualche verso di La Ciociara:

La scalza villanella
Lasciando la campagna
In sul calar del sole,
Con sopra gli capegli un canestrello,
Pien di fresche cicorie,
Ritorna al suo nativo paesello
.

Segue il dialogo tra le massaie che chiedevano l’insalata e lei che si affligge di non poterla fornire e insiste nell’offerta della cicoria.

Poi continua:

Così a tutte si mostra aggraziata,
che d’averla chiamata
ognun prende allegrezza
.

La contadinella riprende il cammino e giunge alla piazzetta:

In mezzo alla piazzuola si riposa.
Oh! la frescoccia rosa!
Cominciano a gridare i garzoncelli
Guarda che occhietti belli!
Ed ella tutta quanta vergognosa
Riguarda la campagna,
Facendo un risolin che t’innamora.
Oh! s’io trapasso allora
Chi dice il gran piacere
Che provo dentro al core immantinente!
Dirlo può solo amor che dolcemente
Per lo mio viso poi fallo parere.
Però che lo mio core
Per queste forosette prende amore
.

La devozione - immagini sacre sulle mura delle case - FrosinoneGli scrittori, parlando del nostro Giambattista, per lo più ricordano solo le sue poesie. Ma è anche da menzionare la raccolta delle lettere pubblicate dall’amico Andrea Lezzani. Sono in tutto N° 24 e scritte da Ariccia nell’estate e autunno del 1867, tranne l’ultima che è scritta da Imola il 20 agosto 1868.

Nel 1867 ci fu il colera. Egli si trovava nella cittadina dei Colli Albani con i famigliari malati, soprattutto la mamma.

Il Lezzani, che dette alle stampe queste lettere indirizzategli dal nostro Maccari, dedica la piccola raccolta alla Nobil Donna Signora Giovannina Ramacciotti, come espressione di gratitudine per avergli fatto conoscere i due fratelli e per aver preso la loro famiglia sotto la sua protezione.

Ecco qualche brevissimo cenno:

Lett. 1° - Ariccia 22 agosto 1867. E’ una preoccupazione affettuosa per il «mio caro Andrea» che, non scrivendo, fa temere che stia male.

Lett. 2° - 23 agosto... «Siate certo di tutta la mia affezione perché voi avete il cuore buono, ed io sopra ogni dottrina apprezzo la virtù».

Lett. 3° - «Vi rinvio corretto il lavoro. In esso sono alcuni pensieri che mi hanno giovato, perché mi consigliano la sofferenza, ed io, nello stato in cui mi trovo debbo chiederlo a Dio tutto il giorno.
Sono tempi orribili
(c’era il colera), nei quali abbiamo assai bisogno dell’aiuto del Signore». «Addio mio caro Andrea... ed ogni giorno più innamoratevi della virtù e del sapere, per consolazione della vostra famiglia...».

Lett. del 27 agosto 1867 - «...Leggete sempre qualche buon libro, e attentamente consideratelo. Meglio una pagina che cento, lette con gli occhi, e non con la mente».

Lett. del 29 agosto 1867 - «...E addio mio carissimo, abbiate cura della vostra salute e pregate il Signore, voi che siene buono, che faccia venire un mezzo diluvio» (per la fine del colera).

Lett. del 31 agosto 1867 - «Sono stanco di soffrire mio caro Andrea; ma bisogna inchinare il capo e rimettersi alla volontà di Colui che sa far bene ogni cosa».

Lett. del 1° settembre 1867 - Siccome la marchesa Costanza Lepri era morta in Roma con universale compianto per avere assistito i colerosi ed il Lezzani gli aveva chiesto di scrivere un sonetto, egli si scusa: «ma per fare una buona poesia bisogna essere ben disposti dell’animo ed io ho l’animo assai triste ed inquieto, o mio caro Andrea. Pure per farvi cosa grata, io mi vi porrò con tutta l’anima... Il mio povero Peppino scrisse di lei alcuni versi, e saranno pubblicati con gli altri a Firenze. Io non conosco il Curato di S. Agnese, ma poiché l’opera che ha tolta è assai bella e pietosa, io lo ringrazio in nome di tutte le anime gentili di questo mondo».

Da queste brevissime frasi il lettore può farsi un concetto dei nobili sentimenti del nostro Giambattista. Nelle lettere seguenti nomina i suoi amici, tra cui Gnoli e Achille Monti.

Giuseppe Maccari

Nacque a Frosinone il 19 ottobre 1840, ossia lo stesso giorno in cui Giambattista, suo fratello maggiore, compiva otto anni. Non fu accomunato a questi solo nell’identità del giorno e mese di nascita, ma anche nella vita, nell’arte e nel dolore.
Quando Giambattista ottenne l’impiego presso l’archivio del Ministero dell’Interno, anch’egli venne a Roma insieme alla mamma e alla sorella. Con i suoi sudori cercò di sostenere i familiari. Si dette a fare lezioni private di lingua italiana, latina e greca. Purtroppo la sua esistenza fu brevissima. Morì ad appena 26 anni e cinque mesi, il 15 marzo 1867, stroncato da un male alla gola non meglio specificato.

Oh! il caro Peppino! Aveva conosciuto una graziosa ragazza e sognava di sposarla, ma la morte gliela rapì dolorosamente. Ed egli la cercava tra le tombe del cimitero:

Poiché repente una fanciulla mia
Dai giardini, c’ha in cura giovinezza,
Si disviò, s’ascose fra le tombe,
Sovente io scorro questi luoghi e trovo
Qui racchiusa la gioia, qui la vita
.

La devozione - immagini sacre sulle mura delle case - FrosinoneChi non vuol bene ad un giovane così angosciato? Di lui ha scritto un «Cenno biografico» Paolo Emilio Castagnola.
Ma l’opuscoletto è più che altro un’analisi estetica della poesia di Giuseppe. Tende ad evidenziare l’Anima bella, la Novità di forma e la Perfezione di stile delle sue composizioni letterarie. Egli è un’anima gemella del fratello Giambattista.

Ha gli stessi sentimenti; ma «Di tempra poetica più robusta dei fratello, seppe realizzare nei brevi idilli in versi sciolti un suggestivo contrasto tra il suo sentimento panico della natura e la coscienza della brevità della sua realtà individuale».

Di lui abbiamo Poesie e Poesie e Lettere.

Il volume di Poesie contiene 34 composizioni poetiche. Vi sono cantati la natura, tutti i suoi valori, le ragazze, l’amore. Due sono intitolati a Dio e l’ultima a La Risurrezione.
Nelle ragazze canta anche la bellezza fisica con fresche e serene pennellate. Dimostra anche una forte passione religiosa. Nella canzone XXXIII, dopo aver descritto con vivi colori una povera mamma seguita da un bambino tremante di freddo, si domanda:

Vi pensa alcun se non vi pensa Iddio?

e subito aggiunge:

Son tutto tuo, son tutto tuo Signore
Vuoi che sfrondi le gioie del pensiero?
Purché la fiamma tua viva mi resti.
Vuoi che dal cor mi sterpi ogni altro affetto?
Come si gitta un mazzolin di fiori
Molli, diletti, sovra il sen puntato,
Gitterò da me lungi un altro amore.
Come salito su destrier veloce,
Addio dicendo a tutte le persone
Mi dilungassi per immensa via,
Ti seguirò lontano dalla gente
.

Giuseppe, come il fratello Giambattista, è un poeta che non si può leggere, senza amarlo. E’ m poeta che non dovrebbe essere ignorato dalla gioventù.

Padre Ignazio BARBAGALLO Agostiniano Scalzo

(FROSINONE - Lineamenti storici dalle origini ai nostri giorni)
- "Editrice Frusinate 1975"

Per le citazioni storiche, la bibliografia ed altro, si rimanda ad una consultazione diretta dell'opera.

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