TERRA CIOCIARA: STORIA - URBANISTICA - FOLKLORE - AMBIENTE


NEL SECOLO DEL BAROCCO

"CHIESA DELLA MADONNA DELLA NEVE"

Nei registri delle visite pastorali compiute dai vescovi di Veroli a Frosinone non si vede mai nominata la chiesetta della Madonna della Neve, costruita nel 1586.

A un certo punto però esplose un interesse e un movimento straordinario intorno ad essa. Ciò si è verificato nel 1675.

Che cosa era avvenuto? Interpelliamo i documenti. Il 15 dicembre 1674 era morto il vescovo Francesco Angelucci e il 27 maggio 1675 Clemente X aveva nominato Mons. Riccardo degli Annibaleschi della Molara. Questi compì la sua prima visita pastorale a Frosinone dal 20 novembre 1675 al 21 aprile 1676. In essa c’è una stranezza, giacché nè prima nè dopo si ha una visita durata così a lungo. Da aggiungere ancora che detta visita fu sospesa il 21 novembre 1675 e poi fu ripresa il 14 aprile dell’anno seguente.
La sospensione ha luogo dopo una solenne cerimonia compiuta proprio dinanzi l’allora abbandonata cappelletta della Madonna della Neve.

Il vescovo era venuto da Veroli il giorno avanti ed aveva fatto un ingresso solenne. Era stato incontrato dalla cittadinanza alla chiesetta dei SS. Tommaso e Teodoro, presso il ponte della Fontana. Preceduto dai bambini acclamanti, e, accompagnato dalla nobiltà e clero, era salito a S. Elisabetta. Qui aveva assunto gli abiti pontificali e con un pomposo cerimoniale, proprio del secolo, si era recato alla chiesa madre e, alla fine, aveva preso alloggio presso l’arciprete Don Evangelista De Paoli.

Nella mattinata del giorno appresso visitò la chiesa di S. Maria. Nel pomeriggio si recò alla Madonna della Neve. E’ questo il momento più significativo.

Il vescovo «accompagnato dai canonici Francesco Bencileo, maestro di cerimonie e Giuseppe Gori, dall’arciprete e da tutto il clero, da moltissimi nobili e dalla cittadinanza di Frosinone, insieme ad una grande massa di gente forestiera, (comitante magna catherva gentium etiam exterarum), si recò alla Cona della Beatissima Vergine della Neve sita nel territorio di Frosinone; ivi giunto, secondo la forma del Pontificale Romano, pose la prima pietra nelle fondamenta della costruenda chiesa in onore della B. Vergine pose la prima pietra nelle fondamenta della costruenda chiesa in onore della B. Vergine della Neve di poi furono iniziati i muri dai muratori destinati e chiamati a questa opera».

Quello che ci colpisce è soprattutto la presenza di quella grande massa di gente venuta pure da altri centri. Come si spiega questo singolare e straordinario appuntamento?

Prima di rispondere a questa domanda, continuiamo l’esposizione dei fatti. Il vescovo ritorna alla Madonna della Neve il 17 aprile 1676. Al margine del verbale di questa seconda visita troviamo annotato: «succepit copiam». Cioè il vescovo si prese una copia dell’immagine della Madonna. In questa circostanza trovò che «tanto l’immagine, che il suo altare erano tenuti con diligenza e venerazione e, perché tutto era bene ordinato, non lasciò alcuna disposizione». Poi «visitò il posto dove doveva sorgere la nuova chiesa con le elemosine dei fedeli e di cui si vedono solo le fondamenta... subito si fece avanti D. Domenico Ciceroni il quale, tanto a nome suo e della madre D. Felice Antonia, quanto a nome dei fratelli, espose che essi avevano donato 24 palmi di terreno contiguo ai muri della nascente chiesa e altro terreno largo 64 palmi e lungo fino al Rivo, a condizione che nell’erigenda chiesa si mettesse un’iscrizione e lo stemma di famiglia che ricordasse la donazione».

Dopo quest’atto passano tre giorni, durante i quali il vescovo continua la sua visita pastorale. Finalmente, prima di lasciare Frosinone, dà delle disposizioni per la buona amministrazione delle elemosine che affluivano, per la direzione dei lavori e per l’ordinata celebrazione delle Messe che i fedeli chiedevano.

Per prima cosa creò un collegio di deputati, perché capitolarmente, o tutti insieme, o un numero sufficiente di loro, decidessero come procedere per le spese.

I deputati nominati furono: il capo priore pro tempere D. Pompeo Ciceroni, e poi D. Giuseppe Grappeili, D. Francesco De Sanctis, D. Sebastiano Battisti, D. Giuseppe De Paoli, D. Teodino Ciceroni, D. Giuseppe Mazzocchi, D. Carlo Guglielmi, D. Flaminio Imperioli, D. Boetto Paradisi, D. Donato Ruggieri.

In secondo luogo prescrisse:

  • 1) che nella cassa riservata per la raccolta delle elemosine da servire per la costruzione della nuova chiesa venissero applicate due serrature con due chiavi distinte da tenersi, una, dal capo-priore, l’altra, da uno dei deputati eletto dal loro stesso collegio;

  • 2) che nella cassa riservata alle elemosine delle Messe da celebrarsi in detta chiesa venissero applicate due serrature con chiavi distinte, da tenersi, una dal vescovo e, l’altra, dal capo-priore. Le elemosine poi che si sarebbero estratte si sarebbero date ai sacerdoti di Frosinone per la celebrazione delle Messe e per l’acquisto di suppellettili sacre;

  • 3) che nessun sacerdote poteva prendere elemosina per Messe, direttamente dai fedeli, ma tutto doveva passare per detta cassa.

  • Dopo che il vescovo aveva emesso questi decreti sopraggiunsero l’arciprete di S. Maria e il parroco di S. Benedetto. L’uno e l’altro protestavano perché il vescovo aveva messo l’amministrazione della nuova chiesa e dei suoi beni nelle mani dei laici e ognuno la pretendeva per la propria chiesa. L’arciprete era il nominato D. Evangelista De Paoli, il parroco di S. Benedetto D. Silverio Basili.

    Da quanto ci dice questo primo gruppo di documenti è facile rilevare che ci troviamo di fronte un caso straordinario. Infatti:

  • 1) mentre prima questa edicola non veniva nominata ed era ignorata, ad un tratto vi accorrono in forma solenne (cosa che non avveniva nelle visite pastorali delle altre chiese) le autorità religiose e civili, il popolo frusinate e una gran massa di gente appartenente ad altri paesi;

  • 2) il vescovo, al suo primo ritorno, si prende un’immagine. Segno che frattanto si era riprodotta la Madonna dipinta nell’icone;

  • 3) incominciarono ad affluire tante elemosine che il vescovo dovette provvedere a mettere ordine e dispose l’apposizione di due cassette, una per la fabbrica l’altra per il culto;

  • 4) I titolari delle due chiese parrocchiali del tempo, S. Maria e S. Benedetto, prima di allora non avevano avvertito la presenza dell’edicola della Madonna. Ora invece, non solo protestano perché la vedono nelle mani dei laici, ma la pretendono ognuno per la propria parrocchia.

  • E’ chiaro dunque che è avveunto qualcosa d’inso!ito: qualcosa che ha mobilitato il popolo e ha cambiato la situazione.

    Gli stessi atti delle sacre visite ci dicono che la chiesa fu ultimata in poco più di un anno e fu consacrata dal vescovo l’8 maggio 1678.

    Parlando dell’amministrazione civica abbiamo notato che per ricostruire la loggia in piazza del mercato ci sono voluti 20 anni e per ricostruire il ponte della Fontana, che pure era necessario per entrare in città, ci vollero 13 anni. Per la costruzione invece della chiesa della Madonna della Neve è bastato poco più di un anno.

    Fervore religioso? Sì, ma non ordinario. Infatti c’erano tante altre chiese fatiscenti da riparare, ma nessuna di queste il popolo pensò di rimettere a nuovo. Bisogna dire di più.

    I vescovi avevano ordinato che, in luogo delle chiese distrutte, venissero costruite delle cappelle con gli stessi titoli nelle chiese più vicine. Gli ordini però furono eseguiti in pochi casi e dopo diversi anni.

    Dunque c’è qualcosa di non comune nella costruzione del santuario della Madonna della Neve. Però il fervore del popolo non si arrestò alla costruzione materiale della chiesa. La volle anche arredare e arricchire di numerose fondazioni di Messe. Rileggiamo anzitutto la descrizione, sia del nuovo edificio e sia degli arredi sacri che fu redatta nella S. Visita del 15 aprile 1679. Noi la sunteggiamo.

    «La chiesa è oblunga, ha il pavimento di laterizi, tre porte, di cui una dà a oriente, una a mezzogiorno, l’altra a occidente; vi sono sei finestre ben chiuse con vetri, nella volta c’è dipinta l’inconorazione della Vergine e sul frontespizio dell’altare lo sposalizio di Maria con due angeli genuflessi ai due lati. Sulla porta maggiore c’è lo stemma di Mons Riccardo Annibaleschi della Molara e la iscrizione che ricorda la consacrazione effettuata l’8 maggio 1678, quarta domenica dopo Pasqua, con la concessione dell’indulgenza da lucrarsi in ogni anniversario. Alle due pareti laterali c’è il posto per la costruzione di due altari. Lungo le stesse pareti ci sono delle croci rosse per ricordare la consacrazione. In mezzo la chiesa c’è un grande genuflessorio; avanti l’altare maggiore si stende il recinto a forma di balaustrata. Ci sono due gradini per accedere all’altare maggiore, il quale è fatto di stucco con due colonne e capitelli ai lati. Di dietro, tra le due colonne, c’è una finestra ovata che dà nella sagrestia. L’altare è provvisto di tovaglie ed ha quattro candelieri grandi e due piccoli di rame... In detto altare si trova l’immagine della Vergine Maria che tiene il figlio col braccio destro, insieme a quella di S. Clemente Papa, a destra, e di S. Silverio Papa, a sinistra. Le immagini sono coperte con un sottile velo trasparente. In cima a questo velo, in mezzo alla tribuna dell’altare son collocate due corone d’argento, una più grande, un’altra più piccola. La detta tribuna dell’altare, per difesa della polvere, è coperta da un velo di seta armesino, che è di colore rosso, con delle france d’oro che scendono avanti all’altare. Vi si tiene sempre accesa una lampada d’argento. L’altare ha la predella ricoperta di un tappeto di lana con figure a diversi colori e con france di colore rosso e giallo...».

    Segue l’inventano della chiesa e della sagrestia. Vi si elencano cuscini di seta, quadri, tovaglie, l'armadio della sagrestia, 5 tovaglie, 6 pianete complete, 12 purificatoi, 7 manutergi e tutto quanto occor reva per il funzionamento della chiesa. Tra i cinque paliotti ce n’è uno «verde trinato d'oro» regalato dal marchese Baldinotti, che noi abbiamo gia conosciuto. Poi si parla del campanile e della «sala con due camere» costruite sulla sagrestia, la quale è oblonga, a forma di conchiglia, con due finestre.

    - (Nell'immagine, un esempio di paliotto tratto da internet) -

    In ultimo vengono date tre ordinazioni. La prima e un ammonizione «al nuovo eremita Fra Silverio di Evangelista», perché non impedisca o non ritardi ai sacerdoti forestieri di cantare, per loro devozione, la Messa, e ciò sotto pena di espulsione.

    Con il secondo decreto il vescovo ordinò che il denaro delle elemosine, eccetto quello per le Messe, venisse investito per la dote della stessa chiesa. Segno che tutti i lavori erano finiti. Con la terza ordinazione prescrisse di proteggere con siepi o spine gli alberi che erano stati piantati lungo la strada che da Frosinone porta al santuario.

    Ecco in breve la sintesi del verbale della visita compiuta dal vescovo a tre anni dalla concessione dell’area per fabbricare la chiesa. L’opera era compiuta in ogni senso.

    Se noi confrontiamo tutti i lavori pubblici eseguiti a Frosinone nel ‘600 con la costruzione della chiesa della Madonna della Neve, constatiamo con evidenza che quest’ultima surclassa tutte le altre opere, per slancio popolare, per rapidità di esecuzione e per entità di spesa. A questi dati di fatto bisogna poi aggiungere che prima della fine del secolo i fedeli fondarono nel santuario oltre 600 Messe perpetue. Si tratta dunque di un’opera che non trova riscontro nella storia di Frosinone.

    Come si spiega tutto questo?

    Per avere la risposta adeguata bisogna spostare la ricerca dall’archivio vescovile di Veroli a quello dello stesso santuario della Madonna della Neve.

    Purtroppo però quest’archivio fu manomesso al tempo dell’occupazione napoleonica. Ma, poiché la speranza è l’ultima a morire, si nutre ancora fiducia che possa trovarsi qualche relitto archivistico a Parigi.

    In attesa di un felice ritrovamento dei documenti originali, noi ci serviamo della storia del santuario pubblicata nel 1794, in occasione del I centenario della consacrazione della chiesa. L’autore la compilò dai documenti d’archivio, che trovavano la conferma nella tradizione ancora viva: «raccogliendo il tutto dalle antiche memorie, che nell’archivio del convento dei detti Padri (Agostiniani Scalzi) conservansi, e dalla costante fama che il conferma».

    Il nominato archivio sorse con il santuario stesso. Ciò è provato dal fatto che esso è citato in atti anteriori alla venuta dei religiosi.

    La Commissione Culturale, propone le immagini, tutto sommato recenti, del territorio della parrocchia e della città, per far capire come doveva essere spopolato il territorio all'epoca della realizzazione della prima chiesetta.

    Padre Ignazio BARBAGALLO Agostiniano Scalzo

    (FROSINONE - Lineamenti storici dalle origini ai nostri giorni)
    - "Editrice Frusinate 1975 da pag. 223 a pag. 230"

    Per le citazioni storiche, la bibliografia ed altro, si rimanda ad una consultazione diretta dell'opera.

    INIZIO PAGINA